Giornata Mondiale della Salute Mentale - 10 ottobre

Giornata Mondiale della Salute Mentale - 10 ottobre

GIORNATA MONDIALE DELLA SALUTE MENTALE - 10 OTTOBRE

PUBBLICATO IL 10/10/2024, CATEGORIA: MONDO CISL, AUTORE: CISL FP EMILIA CENTRALE

Il tema del malato di mente, il folle…o il pazzo, affonda le sue radici fin nella notte dei tempi.

A dire il vero, l’accezione “ Malato” di mente può dirsi di piuttosto recente acquisizione.

In passato si parlava di follia, di pazzia o di alienazione!  E comunque il folle era un soggetto disturbante il precario equilibrio sociale.

Il folle era la persona che dava scandalo (ma forse aveva anche un ingrediente trasgressivo) ed il cattivo esempio.

Nell’antica Roma, già si conosceva il cosiddetto “Morbo Comiziale” che era un evento interruttivo dei Comizi Centuriati i quali, com’è noto (anche oggi in caso di elezioni di qualsiasi natura il Sindaco convoca i “Comizi”…) erano l’organo deliberante in forma assembleare dell’antica Roma.

In quel caso accadeva che se uno dei componenti l’assemblea veniva colto da una crisi comportamentale agita pubblicamente (epilessia o altre condotte strane) le votazioni venivano interrotte.

Il  folle, con le sue condotte stravaganti ed inaspettate, provocava una reazione sociale fatta di  costrizione (oggi si direbbe contenzione) e dell’espulsione dal contesto sociale.

Nel corso dei millenni, i due che sono trascorsi nel periodo più recente, le cose non sono di molto cambiate.

Il tema del malato di mente, l’alienato, è sempre stato trattato, fino a prima della nascita della Repubblica e dell’adozione della Costituzione, come un problema sociale e non sanitario.

Certamente si parlava di malattia mentale, si conoscevano già le patologie di oggi secondo l’attuale classificazione distinguendole fra gravi e meno gravi ( psicosi o nevrosi) ma l’approccio era di natura sociale perseguendo, nel trattamento, l’obiettivo della tutela dell’ordine sociale.

La possibilità di cura, o del trattamento sanitario, nel migliore dei casi era collaterale ed eventuale.

Ed infatti, ancora nel Regno d’Italia, ma con parziale ultrattività anche in tempi di Repubblica e a Costituzione vigente, era in vigore la Legge Nr 36 del 1904.

In forza di tale legge il ricovero ( più esattamente  l’internazione)  dell’alienato avveniva solo a   richiesta dei parenti e congiunti, o da chiunque ne avesse interesse…ovviamente era escluso il paziente coinvolto. Era un atto d’imperio di carattere custodialistico che mirava all’esclusione del soggetto dal contesto sociale affinché non esibisse pubblico scandalo e non fosse di cattivo esempio. Ma spesso, come sappiamo, l’’internazione in Ospedale Psichiatrico serviva anche a regolare rapporti patrimoniali fra parenti.

Insomma il malato di mente era considerato, anche in termini di legge, come  oggetto  di legge  piuttosto che soggetto.

Solo nel 1968, con l’approvazione della cosiddetta Legge Mariotti, Nr 431  venne introdotta, per la prima volta, la possibilità che fosse ( anche)  il paziente a chiedere  il ricovero in ambiente sanitario per essere curato.

Dunque solo nel 1968 per il malato di mente, l’alienato, cominciò a vedersi il percorso d’uscita dal circuito custodialistico e di espulsione dal tessuto sociale per passare a quello si assistenza e cure.

Ed infatti, in forza della stessa legge del 1968, vennero istituiti i primi Centri d’Igiene Mentale ( CIM) aprendo così  la società alla territorializzazione della malattia.

Ma i malati di mente restavano ancora chiusi in manicomio ed il percorso di uscita  non era ancora completo. Anzi era agli inizi.

Il momento politico era quello della liberazione e della protesta giovanile del 1968 e le istanze della società erano di inclusione e solidarietà.

Era il tempo di Franco Basaglia e della chiusura dei Manicomi.

Così si arriva al 1978 e nel corso di quell’anno il Partito Radicale si era fatto promotore di un referendum abrogativo  delle norme di legge sui ricoveri coatti nei manicomi.

Il parlamento di allora, per evitare un vuoto, o comunque delle scosse legislative, approvò con una certa urgenza, nel maggio dello stesso anno, la legge 180 cosiddetta di chiusura dei manicomi che ebbe un forte impatto sull’opinione pubblica.

Da quel momento,  il tempo di sistemare le cose, i malati mente, i matti, uscirono dai manicomi, e furono liberi di tornare a casa.

Solo  in caso di necessità sarebbero stati ricoverati in ospedale in reparti specialistici,  alla stregua degli altri, ( i presidi di diagnosi e cura)  con non più di 15 posti letto.

Com’è noto, a fine anno dello stesso 1978, venne approvata la legge 833 di istituzione del SSN,  la vera riforma madre della salute,  che ha incorporato ( art.33 e seguenti) la legge 180.

Dunque, dal 1978, il folle, l’alienato, è entrato nel contesto sociale, cittadino come tutti gli altri, con gli stessi diritti, e doveri, come mai prima era avvenuto.

Certo rimane, caso quasi unico se si escludono le vaccinazioni, il Trattamento Sanitario Obbligatorio                    ( TSO) quale forma di coartazione della volontà del paziente malato di mente.

Il TSO costituisce l’unica eccezione al ricovero del malato di mente che si attiva  solo in caso di malattia di mente che richiede cure urgenti, solo se le cure devono essere erogate in ambiente ospedaliero, e solo se tali cure vengono rifiutate dal paziente stesso.

Insomma anche il malato di mente, alla stregua di qualsiasi cittadino,  decide lui se prestare il proprio consenso alle cure, se e quando ricoverarsi.

Tranne quando la patologia psichiatrica è grave e quando ricorrono le condizioni per il TSO che rimane residuale.

Dunque tutto bene?

Quindi dal 1978 tutti i cittadini italiani hanno finalmente gli stessi diritti anche quando si ammalano di patologie mentali?

Il bilancio, ad oggi, della riforma psichiatrica del 1978, inserita nel contesto delle successive riforme sanitarie del 1992 e successive, dice che ancora rimangono molte cose da superare.

E forse le cose e gli atteggiamenti che frenano non stanno, come spesso ed in altri ambiti avviene in Italia, in vuoti normativi e non necessitano di interventi del legislatore.

Si registrano ancora i due elementi che hanno caratterizzato l’approccio alla malattia;  ovvero sia  quello custodialistico e di esclusione sociale sia  quello di assistenza e cura i quali si sovrappongono e contrastano fra di loro.

Questa ambivalenza fa sì  che anche nei reparti di psichiatria attuali, dove nello stesso luogo vengono ricoverati i pazienti in TSO e quelli volontari, le porte di ingresso e uscita restino chiuse a chiave e alle finestre ( in maniera discreta) vi siano le grate.

Anche i pazienti ordinari, che hanno “chiesto loro” il ricovero, al momento dell’ingresso in struttura sono costretti ( in accordo con il medico) a rimanere chiusi in reparto per i primi giorni di ricovero.

A questo proposito, per quello che riguarda il tema del consenso rimane ancora vera l’affermazione circolante in ambito di Psichiatria Forense ove si dice che il consenso del paziente psichiatrico non è la condizione di inizio della relazione assistenziale…ma l’obiettivo da raggiungere.

Parrebbe quindi una verità scientifica l’affermazione che il ricovero psichiatrico, in molti casi, nemmeno i più gravi, inizia sempre in assenza di consenso e si completa con l’adesione del paziente al progetto di cura.

In definitiva, quando il paziente fornisce il consenso alle cure…è nelle condizioni di essere dimesso.

E questo vale sia per i TSO che per i ricoveri volontari.

Altra criticità è quella che riguarda l’appropriatezza clinica dei ricoveri in ambiente psichiatrico che spesso porta ad occupare posti letto persone con problematiche sociali ( tossicodipendenti o disagiati sociali) esibendo condotte aggressive e distruttive con danni a carico del personale sanitario e degli altri pazienti.

Insomma si potrebbe concludere dicendo che il quadro normativo relativo alla patologia psichiatrica si è correttamente evoluto da più di 50 anni, solo che la società, nella prassi concreta di applicazione della legge, non è stata all’altezza del legislatore.

Mancano risorse economiche da mettere in campo; assunzione di medici psichiatri e infermieri per erogare più “tempo” ai pazienti psichiatrici.

Evitare di assegnare alle Strutture psichiatriche, in via surrogatoria, compiti di custodia e contenimento del disagio sociale escludendo i ricoveri impropri.

 


 

Alfredo Maglitto